Presentazione
del libro “Con il cuore negli occhi” di Franco Vetrano
Chi non ha scritto almeno una poesia nella propria vita?
Chi non l’ha tenuta gelosamente nascosta, quasi come un inconfessabile momento di debolezza?
Un bisogno innato, potremmo dire, quello di esprimersi “poeticamente”, dando sfogo ad emozioni profondamente e autenticamente sentite che acquistano intensità nella ricerca dell’espressione più adatta, della parola più appropriata. Quasi una sfida con sé stessi.
Oggi le forme di poesia più “accreditate” (almeno tra i giovani) sono quelle che meno hanno a che fare con l’intenzionalità, elemento proprio della poesia colta, ma più propriamente con una creatività diffusa, sempre più appiattita dall’incalzare della comunicazione globale, sempre più lontana dalla poesia tradizionale. Ed ecco le scritte sui muri con ingenue frasi amorose, gli sms di corteggiamento, le frasi in rima riprese da spot pubblicitari, i testi delle canzoni popolari e di culto, certo non riconosciuti come testi poetici.
C’è poi la “vera” poesia, quella che s’impara a scuola, spesso un esercizio di memoria, più che altro, una noia mortale, quasi sempre, con scarsa efficacia sul piano della messa in moto di meccanismi di arricchimento lessicale ed immaginativo e di riconoscimento del sé. Eppure a tratti e in modo inatteso nella memoria poetica riemergono le parole, le frasi di autori letti chissà dove e quando, che si fanno largo a fatica tra i frammenti di frasi più o meno fatte che ci accerchiano da ogni lato.
Essi sono lì nascosti nella nostra mente, pronti a regalarci un frammento di un verso musicale, o di un’espressione forte, come quell’emozione che da soli non saremmo mai riusciti a restituire in parole, in parole poetiche, men che mai.
Grazie, diremo allora, ai poeti che prima di noi e per tutti noi si sono dedicati alla poesia, donando al mondo e a ciascuno un piacere inatteso.
Cosa caratterizza la poesia, in fondo, se non il piacere della scoperta di risonanze inconsuete, il piacere del gioco linguistico, quello della rima apparentemente capitata lì per caso (e qui sono maestri alcuni grandi poeti italiani: Corazzini, Sozzano, Montale), ma in effetti sedimentata da secoli di prove d’autore, quello della comunicazione di sentimenti intimi che attraverso una “forma” speciale, diventano di tutti, addirittura universali!
A quelli che scrivono ogni tanto capita che manchi l’idea, la cosiddetta ispirazione, insomma quel quid che indichi come continuare la strada iniziata, come un Sinisgalli dalla disseccata vena poetica che per ritrovarla confessa: “Ho dovuto attraversare un sonetto di Nerval”, poeta dell’Ottocento vissuto poco e male, con una poesia ricca di riferimenti simbolici, onirici ed esoterici: consiglio ai giovani poeti che mi chiedono consigli (a me, che ho scritto poche e orrende poesie) che si può ritrovare la vena - e questo vale per la poesia e per la prosa - attraverso l’esercizio della riscrittura di testi, cambiando pochi elementi del testo originario ma senza che diventi una parodia.
Oppure, altro consiglio, fermarsi, non pensarci più. Sarà all’improvviso, come un lampo nella notte, che verrà l’idea, quella buona.
A proposito delle poesie di Franco Vetrano (quelle edite in questa silloge, e altre che ho avuto l’onore di leggere e apprezzare) non so quanto inconsapevolmente lui percorra una strada che ha riferimenti nella poesia italiana, ma non solo.
Forse la poesia italiana, così ricca di modelli esportati in tutto il mondo e di straordinarie prove poetiche disseminate lungo tutto il corso della sua storia, non avrebbe bisogno di modelli cercati in mondi lontani, ma è pur vero, a ben considerare, che la forza della poesia si fa tanto più robusta e vitale, quanto più la si contamina e la si fa oggetto di sperimentazione.
L’Haiku e il Tanka, per la loro brevità si prestano molto bene a diventare veicoli d’ispirazione, tanto più che il nucleo tematico e ispiratore di questa antica poesia giapponese è la natura, con i suoi microrumori, le microimmagini, ed è anche questa attenzione che ha colto la sensibilità poetica di Franco: lui vive in posti ai quali si giunge attraversando straordinari paesaggi dove, senza alcuna retorica, si riapprendono i linguaggi della natura, troppo spesso resi muti dall’invadenza dei rumori cittadini e del ronzio radio-televisivo.
Cosa sono l’Haiku e il Tanka
Un haiku è un componimento poetico di tre versi caratterizzati da 5, 7 e ancora 5 sillabe. È una poesia dai toni semplici che riduce al minimo gli elementi lessicali e trae la sua forza poetica dalle emozioni della natura e delle sue stagioni. L’haiku nasce in Giappone nel secolo XVII e deriva dal tanka, componimento poetico di 31 sillabe che risale già al IV secolo. Il tanka è formato da 5 versi di 5-7-5-7-7 sillabe rispettivamente. Eliminando gli ultimi due versi si è formato l’haiku. Oggi si può attribuire la definizione di haiku a piccoli componimenti poetici, anche non rigorosamente rispettosi del numero delle sillabe.
Vedi pag. 15 II velo della pioggia, che sembra davvero un haiku, che è fortemente caratterizzato da elementi naturalistici. E ancora pag. 17 Scorre il tempo.
Esempi illustri di Haiku inframmezzati da versi di Franco
Matsuo Basho (1644-1695)
Nel vecchio stagno una rana si tuffa. Il rumore dell’acqua.
Stanchezza:
entrando in una locanda su di me i glicini.
Franco Vetrano
Stanotte hanno rubato la luna.
Di freddo e di paura sto tremando.
Franco Vetrano
Le cime delle montagne calzano berretti di nubi. Il cupo brontolio dei tuoni è rullo di tamburi.
Yosa Buson (1716 -1784)
Chiaro di luna:
il pruno bianco torna
albero invernale.
Torno a vederli
fiori di ciliegio
sono già frutti, nella sera.
Franco Vetrano
Le orme del mio cammino all’orizzonte si perdono.
Kobayashi Issa (1763 -1828)
In questo mondo frenesia anche nella vita della farfalla.
C’ero soltanto. C’ero. Intorno mi cadeva la neve.
Qui non voglio certo proporre parallelismi (troppo lontane sono le epoche, i luoghi, ecc.), ma certo alla prima lettura, e anche alla seconda, e anche alla terza mi sono venuti in mente questi poeti giapponesi, nonché quelli cinesi Li Po e Po Chi I, proprio per quest’ottica naturalistica che diventa intimistica, e che è fortemente presente nella poesia di Franco.
Lo stesso stupore dei poeti appena citati si trova nelle liriche di Franco, come se per caso lui si trovasse lì, in quel luogo, in quella situazione. Alla fine è un poeta inconsapevole di esserlo, che viene come fulminato da un’immagine, che poi stende con rapida pennellata.
Orme , pag. 13, è un esempio calzante non solo di questa situazione, ma della profondità celata dalla semplicità dei versi:
(LETTURA)
Quest’uomo è alla ricerca di sé stesso, ma per quanto lo insegua non vi riesce. E allora, saggiamente, si siede. E si aspetta, aspetta sé stesso che torni dalla ricerca, e solo cos ì potrà conoscersi.
Questa ricerca del sé e del senso della vita pervade altre poesie, coma appunto II senso nascosto dove la ricerca non è più personale, ma diventa universale.
(LETTURA)
Non possono mancare in questa silloge, pur brevissima, gli amori, gli affetti (il tuo volto di gioia risplende; maliziosamente innocente col fuoco della passione giochi). Molto sentita Urla in me, dedicata alla madre,
(LETTURA)
Le poesie sono brevi, dicevo, ed anche i versi lo sono; ma all’improvviso lo sguardo del lettore è colpito dalla poesia Suonano di silenzio, che ha versi lunghi, ben più che endecasillabi, ed è una poesia diversa dalle altre: non è più un affresco, non è più un ricordo che compare per subito svanire; no: è una poesia con un suo ritmo interno, con una musicalità ricca di figure retoriche molto ben celate (la bora fischia tra le case una triste nenia sorretta da una stupenda allitterazione, come anche nel verso di poco precedente Danzano nel vento i ricordi, e mi sferzano).
(LETTURA)
Potenza, 15-5-2013
Claudio Elliott
Chi non ha scritto almeno una poesia nella propria vita?
Chi non l’ha tenuta gelosamente nascosta, quasi come un inconfessabile momento di debolezza?
Un bisogno innato, potremmo dire, quello di esprimersi “poeticamente”, dando sfogo ad emozioni profondamente e autenticamente sentite che acquistano intensità nella ricerca dell’espressione più adatta, della parola più appropriata. Quasi una sfida con sé stessi.
Oggi le forme di poesia più “accreditate” (almeno tra i giovani) sono quelle che meno hanno a che fare con l’intenzionalità, elemento proprio della poesia colta, ma più propriamente con una creatività diffusa, sempre più appiattita dall’incalzare della comunicazione globale, sempre più lontana dalla poesia tradizionale. Ed ecco le scritte sui muri con ingenue frasi amorose, gli sms di corteggiamento, le frasi in rima riprese da spot pubblicitari, i testi delle canzoni popolari e di culto, certo non riconosciuti come testi poetici.
C’è poi la “vera” poesia, quella che s’impara a scuola, spesso un esercizio di memoria, più che altro, una noia mortale, quasi sempre, con scarsa efficacia sul piano della messa in moto di meccanismi di arricchimento lessicale ed immaginativo e di riconoscimento del sé. Eppure a tratti e in modo inatteso nella memoria poetica riemergono le parole, le frasi di autori letti chissà dove e quando, che si fanno largo a fatica tra i frammenti di frasi più o meno fatte che ci accerchiano da ogni lato.
Essi sono lì nascosti nella nostra mente, pronti a regalarci un frammento di un verso musicale, o di un’espressione forte, come quell’emozione che da soli non saremmo mai riusciti a restituire in parole, in parole poetiche, men che mai.
Grazie, diremo allora, ai poeti che prima di noi e per tutti noi si sono dedicati alla poesia, donando al mondo e a ciascuno un piacere inatteso.
Cosa caratterizza la poesia, in fondo, se non il piacere della scoperta di risonanze inconsuete, il piacere del gioco linguistico, quello della rima apparentemente capitata lì per caso (e qui sono maestri alcuni grandi poeti italiani: Corazzini, Sozzano, Montale), ma in effetti sedimentata da secoli di prove d’autore, quello della comunicazione di sentimenti intimi che attraverso una “forma” speciale, diventano di tutti, addirittura universali!
A quelli che scrivono ogni tanto capita che manchi l’idea, la cosiddetta ispirazione, insomma quel quid che indichi come continuare la strada iniziata, come un Sinisgalli dalla disseccata vena poetica che per ritrovarla confessa: “Ho dovuto attraversare un sonetto di Nerval”, poeta dell’Ottocento vissuto poco e male, con una poesia ricca di riferimenti simbolici, onirici ed esoterici: consiglio ai giovani poeti che mi chiedono consigli (a me, che ho scritto poche e orrende poesie) che si può ritrovare la vena - e questo vale per la poesia e per la prosa - attraverso l’esercizio della riscrittura di testi, cambiando pochi elementi del testo originario ma senza che diventi una parodia.
Oppure, altro consiglio, fermarsi, non pensarci più. Sarà all’improvviso, come un lampo nella notte, che verrà l’idea, quella buona.
A proposito delle poesie di Franco Vetrano (quelle edite in questa silloge, e altre che ho avuto l’onore di leggere e apprezzare) non so quanto inconsapevolmente lui percorra una strada che ha riferimenti nella poesia italiana, ma non solo.
Forse la poesia italiana, così ricca di modelli esportati in tutto il mondo e di straordinarie prove poetiche disseminate lungo tutto il corso della sua storia, non avrebbe bisogno di modelli cercati in mondi lontani, ma è pur vero, a ben considerare, che la forza della poesia si fa tanto più robusta e vitale, quanto più la si contamina e la si fa oggetto di sperimentazione.
L’Haiku e il Tanka, per la loro brevità si prestano molto bene a diventare veicoli d’ispirazione, tanto più che il nucleo tematico e ispiratore di questa antica poesia giapponese è la natura, con i suoi microrumori, le microimmagini, ed è anche questa attenzione che ha colto la sensibilità poetica di Franco: lui vive in posti ai quali si giunge attraversando straordinari paesaggi dove, senza alcuna retorica, si riapprendono i linguaggi della natura, troppo spesso resi muti dall’invadenza dei rumori cittadini e del ronzio radio-televisivo.
Cosa sono l’Haiku e il Tanka
Un haiku è un componimento poetico di tre versi caratterizzati da 5, 7 e ancora 5 sillabe. È una poesia dai toni semplici che riduce al minimo gli elementi lessicali e trae la sua forza poetica dalle emozioni della natura e delle sue stagioni. L’haiku nasce in Giappone nel secolo XVII e deriva dal tanka, componimento poetico di 31 sillabe che risale già al IV secolo. Il tanka è formato da 5 versi di 5-7-5-7-7 sillabe rispettivamente. Eliminando gli ultimi due versi si è formato l’haiku. Oggi si può attribuire la definizione di haiku a piccoli componimenti poetici, anche non rigorosamente rispettosi del numero delle sillabe.
Vedi pag. 15 II velo della pioggia, che sembra davvero un haiku, che è fortemente caratterizzato da elementi naturalistici. E ancora pag. 17 Scorre il tempo.
Esempi illustri di Haiku inframmezzati da versi di Franco
Matsuo Basho (1644-1695)
Nel vecchio stagno una rana si tuffa. Il rumore dell’acqua.
Stanchezza:
entrando in una locanda su di me i glicini.
Franco Vetrano
Stanotte hanno rubato la luna.
Di freddo e di paura sto tremando.
Franco Vetrano
Le cime delle montagne calzano berretti di nubi. Il cupo brontolio dei tuoni è rullo di tamburi.
Yosa Buson (1716 -1784)
Chiaro di luna:
il pruno bianco torna
albero invernale.
Torno a vederli
fiori di ciliegio
sono già frutti, nella sera.
Franco Vetrano
Le orme del mio cammino all’orizzonte si perdono.
Kobayashi Issa (1763 -1828)
In questo mondo frenesia anche nella vita della farfalla.
C’ero soltanto. C’ero. Intorno mi cadeva la neve.
Qui non voglio certo proporre parallelismi (troppo lontane sono le epoche, i luoghi, ecc.), ma certo alla prima lettura, e anche alla seconda, e anche alla terza mi sono venuti in mente questi poeti giapponesi, nonché quelli cinesi Li Po e Po Chi I, proprio per quest’ottica naturalistica che diventa intimistica, e che è fortemente presente nella poesia di Franco.
Lo stesso stupore dei poeti appena citati si trova nelle liriche di Franco, come se per caso lui si trovasse lì, in quel luogo, in quella situazione. Alla fine è un poeta inconsapevole di esserlo, che viene come fulminato da un’immagine, che poi stende con rapida pennellata.
Orme , pag. 13, è un esempio calzante non solo di questa situazione, ma della profondità celata dalla semplicità dei versi:
(LETTURA)
Quest’uomo è alla ricerca di sé stesso, ma per quanto lo insegua non vi riesce. E allora, saggiamente, si siede. E si aspetta, aspetta sé stesso che torni dalla ricerca, e solo cos ì potrà conoscersi.
Questa ricerca del sé e del senso della vita pervade altre poesie, coma appunto II senso nascosto dove la ricerca non è più personale, ma diventa universale.
(LETTURA)
Non possono mancare in questa silloge, pur brevissima, gli amori, gli affetti (il tuo volto di gioia risplende; maliziosamente innocente col fuoco della passione giochi). Molto sentita Urla in me, dedicata alla madre,
(LETTURA)
Le poesie sono brevi, dicevo, ed anche i versi lo sono; ma all’improvviso lo sguardo del lettore è colpito dalla poesia Suonano di silenzio, che ha versi lunghi, ben più che endecasillabi, ed è una poesia diversa dalle altre: non è più un affresco, non è più un ricordo che compare per subito svanire; no: è una poesia con un suo ritmo interno, con una musicalità ricca di figure retoriche molto ben celate (la bora fischia tra le case una triste nenia sorretta da una stupenda allitterazione, come anche nel verso di poco precedente Danzano nel vento i ricordi, e mi sferzano).
(LETTURA)
Potenza, 15-5-2013
Claudio Elliott