Appunti di Note
Presentazione di “Con il cuore negli occhi”
Prima di iniziare chiedo mi si conceda e perdoni un momento privato, che ho, però, il piacere e l'onore di partecipare a tutti. Stasera mi sento una persona fortunata!
Il primo contatto, che ho avuto con Franco Vetrano, è avvenuto fra codeste murale definire l'incrocio fra le nostre due esistenze un momento magico è un eufemismo estremamente riduttivo. Lo auguro a tutti.
E' diffìcile se non impossibile che si possa incontrare una persona come il nostro Franco!
Io lo auguro lo stesso.
Questa circostanza, la presentazione della sua silloge poetica, sigilla un evento frutto, ripeto, di magica alchimia.
Pensate: io, che amo la poesia, incontro di persona un “poeta”, in uno con l'onore (ed onere) di presentare il frutto del suo estro.
E' un evento difficilmente ripetibile!
Grazie di cuore a tutti e passiamo alla “parte tecnica”.
La poesia nella sua componente musicale.
Alibi ho detto di amare la poesia. Codesta circostanza mi agevola il compito di esaminare il testo poetico. E mi spiego.
Ogni testo poetico va scisso in due momenti: la musicalità ed il contenuto. (La musicalità come armonia di accenti, da intendersi quale lettura di una partitura musicale)
Anche se alcuni qui presenti conoscono di già il mio pensiero in ordine alla poesia nel suo aspetto formale, amerei ribadire il concetto (presso la nostra tribù, adagiata fra le braccia di Partenope e con le estremità a mollo nelle acque dei Tirreno, un motto ammonisce: “ 'E viecchie diceno semp' 'e stessi ccose!”).
Stasera, però, me ne corre l'obbligo per una battuta che il nostro Franco si è lasciato sfuggire qualche tempo fa.
L'ottimo Nostro, in coda ad una poesia che graziosamente mi partecipò, disse:”...che ti fanno questi geometri!”. Animato dalla enorme cifra ironica che lo caratterizza, voleva sottolineare una sorta di meraviglia (attesa la suaformazione “tecnica”) per quanta “poetica” potesse scaturire dalla sua penna.
Stasera pago un tributo alla sua anima poetica. Chiarisco.
La poesia, fatto salvo il suo plot ed al di sopra della causa generatrice, è musica.
Come tale ci investe nel corpo primieramente e poi nell'animo. Ho letto e riletto le poesie di Franco Vetrano ad alta voce, come sono uso fare (e come suggerisco di fare ad ogni lettore), perché devo sentirmi fisicamente investito dai suoni, dal suono delle parole singole e dalla musicalità del testo, nella sua totalità.
Faccio una breve digressione per giustificare questo mio comportamento. Quando contiamo, ad esempio fino a quattro, il nostro tono di voce muta a mano a mano che andiamo avanti nel conteggio: uno, due, a tre cambia palesemente e sale il tono di voce, che ricade su quattro (tecnicamente chiude la frase musicale).
Ad ogni numero corrisponde, in musica, un preciso accordo musicale. Più precisamente il penultimo è un accordo di movimento, il quale preclude ed anticipa l'accordo finale o di riposo.
Il concatenarsi del prefati accordi, lo snocciolarsi di essi, la loro sequenza deve obbedire a delle leggi ben determinate, cui non è possibile né permesso derogare.
Tutto questo processo ha come summa sintesi che la musica è matematica! Qui sorge spontanea la domanda: “Chi meglio di un tecnico può ritrovare la sua “dimensione” nella poesia? In quella poesia che porta le anime per mano dove le menti non sanno arrivare
Con questo ho pagato un debito morale al mio illustre e caro amico (più che altro al riconoscimento dovuto alla sua estrema sensibilità).
Fra le altre cose (e qui chiudo in bellezza) esiste in rete un filmato (sottolineo che l'ottimo Nostro mi ha fatto onore e gioia siderale partecipandomelo), in cui le sue poesie sono state tradotte in immagini e suoni.
Nel predetto filmato viene realizzato un più che felice connubio fra musica e foto, rifacentesi alle stradine ed “...ai muri delle case che ci han visti partire dietro un sogno...”, le quali si susseguono sullo schermo accompagnate da una splendida melodia, tra le altre cose, magistralmente eseguita a pianoforte.
Avere tra le mani, nello specifico che ci riguarda, la silloge delle poesie di Franco Vetrano fa insorgere una notazione: il rapporto fra il libro ed il lettore.
Esso è prima di tutto un rapporto personale, personalissimo e, per certi versi, si può definire anche intimo.
“L'odore del libro - dice Andrea Camilleri ne “Le parole raccontate”- è come l'odore della pelle di una persona con la quale si vuole stringere amicizia”. Con un neologismo, lo possiamo definire “libridine”. E' un piacere dal diagramma vastissimo, che va dal possesso fisico al piacere di comunicarne il titolo o parlare del suo contenuto con un amico o, quantomeno, con una persona degna di stima ed affetto.
Il poeta portoghese, Fernando Pessoa, sosteneva: “Del resto, l'unica prefazione di un 'opera è il cervello di chi la legge”.
Quando ho letto questo assunto ho pensato a Franco Vetrano ed ai suoi scritti.
La platea che si affaccia agli scritti, formata da chi conosce Franco, lo ritrova al punto che leggendo le sue poesie ha l'impressione di scandire all'unisono i tempi del suo vivere.
Gli attimi delle sue emozioni battono insieme. A volte nascono insieme, in lui che scrive ed in chi legge.
Flash onirici
Questa definizione mi è aggallata dopo aver letto quattro o cinque liriche. Fin dalla prima lirica, ad onor del vero, la partecipazione, il contatto, il possesso della cifra caratterizzante la lirica medesima ci balza agli occhi e, quello che fa delle parole un sentimento, ci attanaglia l'animo, anzi no, l'anima.
Questo essere rapiti, quasi strappati alla realtà, e posti accanto al nostro autore, nonché ai suoi pensieri avviene in modo immediato e veloce. Ecco perché ho parlato di flash.
Fin dal primo verso la nuova realtà offerta da Franco Vetrano ci avvolge e (sempre mutuando la metafora musicale) cominciamo a vibrare alla sua stessa frequenza.
Fra gli strumenti musicali esiste la cosiddetta “Viola d'amore”.
E' uno strumento più grande di un violino, che ha un suono leggermente più grave.
La struttura è quella tradizionale dell'antica viola da braccio, con spalle spioventi e fasce relativamente alte. Lo strumento si caratterizza per la presenza, oltre che delle sette corde melodiche che vengono sollecitate dall'archetto, di una serie di sette corde di risonanza, che scorrono sotto quelle principali attraverso il ponticello ed hanno una loro particolare accordatura.
Le predette corde di risonanza vibrano, per un effetto di natura fisica, in dipendenza del vibrare ad una certa frequenza delle corde, poste al di sopra delle stesse. Queste corde non vengono toccate, quindi, né con la mano, né con l'archetto, ma vibrano per “simpatia”. Cioè, ogniqualvolta una delle corde, sollecitate dalla mano o dall'archetto, produce un suono alla stessa frequenza di queste corde, anch'esse vibrano per “amore”. Tutto questo per sottolineare che in noi, all'ascolto delle liriche di Franco Vetrano, scatta un meccanismo, oserei dire a questo punto, un fenomeno fisico, il quale ci lascia una traccia, un graffio nell'animo (facciamo onore alla presenza di Maria Rizzi).
Campo di ostriche, in cui ognuna contiene una perla.
Avete presente i mari della Polinesia, con le pescatrici di perle che si tuffano per riemergere con il loro bottino di ostriche? Da ogni ostrica estraggono una perla.
Questa è la lettura delle liriche di Franco Vetrano. In ogni poesia troviamo una perla.
Si può attingere a piene mani, con la certezza di trovare ogni volta la “perla” desiderata. O quanto meno quella “perla”, di cui in quel momento si ha bisogno. Un esempio... a caso.
ORME
Le orme del mio cammino
all'orizzonte si perdono.
Invano le seguo, ansimando,
tentando di trovare me stesso.
Qui mi siedo, e senza più forza
attendo solo il mio ritorno.
La perla di questo “sospiro” (dico così perché si legge in un solo flato) è il “ritorno”.
Questo “ritorno” è il ripercorrere vie lasciate, vie sognate, vie desiderate, vie di cui sa, sente l'esistenza e da cui viene separato solo dal tempo. Quel tempo che è il grande amico e nemico della nostra esistenza. Ci è nemico, quando diventa abitudine, assuefazione, tollerabilità, rassegnazione, poiché ci fa andare avanti senza che facciamo nulla per cambiare il nostro stato. Ci è amico quando diventa attesa, aspettativa,sogno, desiderio, in quanto ci sospinge verso un orizzonte lontano, animati dalla volontà di raggiungere e realizzare i nostri sogni.
In quella attesa vi è una fortissima cifra di ottimismo, che viene sostenutodialetticamente in modo tetragono, anche contro lo stesso tempo, dal“solo”, che lo precede.
E' granitico, diamantino ed inattaccabile.
Franco Vetrano con l'estrema semplicità, che è solo dei grandi, affronta a piè fermo una qualsivoglia sfaccettatura del vivere. Come ad esempio il tempo. L'immaginario umano si trascina un inconsapevole ed ancestrale timore verso il tempo. Quel timore, cui era soggetto, non dimentichiamolo, lo stesso Giove, il re degni dei, e noi ci trasciniamo quel timore ridimensionato a misura umana.
SCORRE IL TEMPO
Scorre il tempo sui pensieri.
Stende un velo candido di oblio
su ciò che ieri era il futuro.
Scorre il tempo su gioie e tristezze.
Scorre, e passa senza voltarsi.
Come alibi accennavo, il tempo è uno stato d'animo al di fuori della nostra gestione umana.
I pensieri, quelli che si ingenerano indipendentemente dalla nostra volontà, non sono trascinati dal tempo, esso vi sorvola sopra, li sfiora, vi posa cadenzatamene un velo, il quale da trasparente diventa sempre più opaco, a mano a mano che essi veli si stratificano uno sull'altro, al di sopra degli eventi, degli uomini, dei fatti, della storia. Il tempo, con la sua ineluttabilità, non trasforma la vita, che obbedisce alle sue leggi peculiari, ma fa solo in modo che per noi essa realtà o vita cambi il suo status. I fatti sono e saranno sempre gli stessi. Collocati ieri erano per noi il futuro. Peculiarità del tempo, che non rimane nella nostra gestibilità, è che esso non si volta. Ma non è visto in negativo. E' realtà. Una realtà di cui abbiamo il dovere di tenere conto. Anzi, meglio, con dobbiamo fare i conti. Io aggiungo, subordinatamente all'illuminato parere del nostro autore, il non voltarsi del tempo rende la realtà più “affascinante”.
Questo, almeno, nella cultura occidentale. Infatti - come sottolinea Gianni Bonina ne “I sette giorni di Allah “ - in occidente il tempo corre oppure passa e la sente gli va
appresso, conforma la propria vita al suo trascorrere...... In Oriente invece il tempo non si perde né si guadagna perché è come il sole: sta fermo.
Franco Vetrano, producendo delle poesie, contenute, costituite di pochi versi, ha fatto una operazione al limite della “ruffianeria”, nella sua accezione più blanda, dolce ed amorevole del termine, senza minimamente però incappare nella di essa trappola.
Pressato dal suo DNA di tecnico, spoglia le poesie del di più, elimina tutto ciò che non va diritto a nocciolo del tema da trattare. “Sbuccia il frutto” del suo pensiero e ce lo presenta tagliato, ben aggiustato e preparato agli occhi del nostro sentire. Noi non dobbiamo far nulla che non sia quello di abbandonarci alle note (qui Franco direbbe: “Eccolo!”) della melodia, nascente dalla corda che ci ha fatto vibrare nell'animo. Mutuando la metafora musicale, Franco Vetrano, a mezzo della brevità di questi scritti, è come se ci presentasse di una intera opera lirica solo le arie più accattivanti, più melodiose, più pregnanti e, per questo, più identificati ve dell'opera stessa.
Mi corre l'obbligo sottolineare che fa, allo stesso momento, un'operazione rischiosa, aleatoria, pericolosa e, per questo, coraggiosa. Egli, presentando solo “le arie” rischia di non essere compreso fino in fondo. Rischia che l’”animus” dello scritto possa sfuggire all'attenzione del lettore.
In quanto non supportato da una pregressa presentazione, da una adeguata preesposizione di fatti o circostanze, il plot dello scritto può toccare un punto di tangente, schizzare via e non penetrare l'animo del lettore. Ho detto prima: “...può...eccetera, eccetera..”. Ma Franco Vetrano non corre codesta alea.
Egli, oltre al coraggio, ha la forza della sincerità espositiva quando poggia la penna sul foglio.
Ogni verso ha la immanenza di una incisione sul tronco di ulivo, ogni verso porta con sé l'immutabilità di una vena nel marmo. Ogni verso ha il profilo chiaro, netto, definito ed, al tempo stesso, appartenente alla nostra realtà quotidiana: ai respiri del mattino, ai sospiri della sera, ai sogni di bambino, alle aspettative di adolescente, agli odori di cucina, alle nostalgie di un ricordo, ai sorrisi di persone care ed a tanti,...tanti altri momenti, con cui si scandisce la nostra esistenza umana.
Questa silloge è un amico che ci accompagna, come dicevo prima, attimo per attimo, giorno per giorno. Un vero amico.
Napoli, 2-3-2013
Salvatore Castiello
Presentazione di “Con il cuore negli occhi”
Prima di iniziare chiedo mi si conceda e perdoni un momento privato, che ho, però, il piacere e l'onore di partecipare a tutti. Stasera mi sento una persona fortunata!
Il primo contatto, che ho avuto con Franco Vetrano, è avvenuto fra codeste murale definire l'incrocio fra le nostre due esistenze un momento magico è un eufemismo estremamente riduttivo. Lo auguro a tutti.
E' diffìcile se non impossibile che si possa incontrare una persona come il nostro Franco!
Io lo auguro lo stesso.
Questa circostanza, la presentazione della sua silloge poetica, sigilla un evento frutto, ripeto, di magica alchimia.
Pensate: io, che amo la poesia, incontro di persona un “poeta”, in uno con l'onore (ed onere) di presentare il frutto del suo estro.
E' un evento difficilmente ripetibile!
Grazie di cuore a tutti e passiamo alla “parte tecnica”.
La poesia nella sua componente musicale.
Alibi ho detto di amare la poesia. Codesta circostanza mi agevola il compito di esaminare il testo poetico. E mi spiego.
Ogni testo poetico va scisso in due momenti: la musicalità ed il contenuto. (La musicalità come armonia di accenti, da intendersi quale lettura di una partitura musicale)
Anche se alcuni qui presenti conoscono di già il mio pensiero in ordine alla poesia nel suo aspetto formale, amerei ribadire il concetto (presso la nostra tribù, adagiata fra le braccia di Partenope e con le estremità a mollo nelle acque dei Tirreno, un motto ammonisce: “ 'E viecchie diceno semp' 'e stessi ccose!”).
Stasera, però, me ne corre l'obbligo per una battuta che il nostro Franco si è lasciato sfuggire qualche tempo fa.
L'ottimo Nostro, in coda ad una poesia che graziosamente mi partecipò, disse:”...che ti fanno questi geometri!”. Animato dalla enorme cifra ironica che lo caratterizza, voleva sottolineare una sorta di meraviglia (attesa la suaformazione “tecnica”) per quanta “poetica” potesse scaturire dalla sua penna.
Stasera pago un tributo alla sua anima poetica. Chiarisco.
La poesia, fatto salvo il suo plot ed al di sopra della causa generatrice, è musica.
Come tale ci investe nel corpo primieramente e poi nell'animo. Ho letto e riletto le poesie di Franco Vetrano ad alta voce, come sono uso fare (e come suggerisco di fare ad ogni lettore), perché devo sentirmi fisicamente investito dai suoni, dal suono delle parole singole e dalla musicalità del testo, nella sua totalità.
Faccio una breve digressione per giustificare questo mio comportamento. Quando contiamo, ad esempio fino a quattro, il nostro tono di voce muta a mano a mano che andiamo avanti nel conteggio: uno, due, a tre cambia palesemente e sale il tono di voce, che ricade su quattro (tecnicamente chiude la frase musicale).
Ad ogni numero corrisponde, in musica, un preciso accordo musicale. Più precisamente il penultimo è un accordo di movimento, il quale preclude ed anticipa l'accordo finale o di riposo.
Il concatenarsi del prefati accordi, lo snocciolarsi di essi, la loro sequenza deve obbedire a delle leggi ben determinate, cui non è possibile né permesso derogare.
Tutto questo processo ha come summa sintesi che la musica è matematica! Qui sorge spontanea la domanda: “Chi meglio di un tecnico può ritrovare la sua “dimensione” nella poesia? In quella poesia che porta le anime per mano dove le menti non sanno arrivare
Con questo ho pagato un debito morale al mio illustre e caro amico (più che altro al riconoscimento dovuto alla sua estrema sensibilità).
Fra le altre cose (e qui chiudo in bellezza) esiste in rete un filmato (sottolineo che l'ottimo Nostro mi ha fatto onore e gioia siderale partecipandomelo), in cui le sue poesie sono state tradotte in immagini e suoni.
Nel predetto filmato viene realizzato un più che felice connubio fra musica e foto, rifacentesi alle stradine ed “...ai muri delle case che ci han visti partire dietro un sogno...”, le quali si susseguono sullo schermo accompagnate da una splendida melodia, tra le altre cose, magistralmente eseguita a pianoforte.
Avere tra le mani, nello specifico che ci riguarda, la silloge delle poesie di Franco Vetrano fa insorgere una notazione: il rapporto fra il libro ed il lettore.
Esso è prima di tutto un rapporto personale, personalissimo e, per certi versi, si può definire anche intimo.
“L'odore del libro - dice Andrea Camilleri ne “Le parole raccontate”- è come l'odore della pelle di una persona con la quale si vuole stringere amicizia”. Con un neologismo, lo possiamo definire “libridine”. E' un piacere dal diagramma vastissimo, che va dal possesso fisico al piacere di comunicarne il titolo o parlare del suo contenuto con un amico o, quantomeno, con una persona degna di stima ed affetto.
Il poeta portoghese, Fernando Pessoa, sosteneva: “Del resto, l'unica prefazione di un 'opera è il cervello di chi la legge”.
Quando ho letto questo assunto ho pensato a Franco Vetrano ed ai suoi scritti.
La platea che si affaccia agli scritti, formata da chi conosce Franco, lo ritrova al punto che leggendo le sue poesie ha l'impressione di scandire all'unisono i tempi del suo vivere.
Gli attimi delle sue emozioni battono insieme. A volte nascono insieme, in lui che scrive ed in chi legge.
Flash onirici
Questa definizione mi è aggallata dopo aver letto quattro o cinque liriche. Fin dalla prima lirica, ad onor del vero, la partecipazione, il contatto, il possesso della cifra caratterizzante la lirica medesima ci balza agli occhi e, quello che fa delle parole un sentimento, ci attanaglia l'animo, anzi no, l'anima.
Questo essere rapiti, quasi strappati alla realtà, e posti accanto al nostro autore, nonché ai suoi pensieri avviene in modo immediato e veloce. Ecco perché ho parlato di flash.
Fin dal primo verso la nuova realtà offerta da Franco Vetrano ci avvolge e (sempre mutuando la metafora musicale) cominciamo a vibrare alla sua stessa frequenza.
Fra gli strumenti musicali esiste la cosiddetta “Viola d'amore”.
E' uno strumento più grande di un violino, che ha un suono leggermente più grave.
La struttura è quella tradizionale dell'antica viola da braccio, con spalle spioventi e fasce relativamente alte. Lo strumento si caratterizza per la presenza, oltre che delle sette corde melodiche che vengono sollecitate dall'archetto, di una serie di sette corde di risonanza, che scorrono sotto quelle principali attraverso il ponticello ed hanno una loro particolare accordatura.
Le predette corde di risonanza vibrano, per un effetto di natura fisica, in dipendenza del vibrare ad una certa frequenza delle corde, poste al di sopra delle stesse. Queste corde non vengono toccate, quindi, né con la mano, né con l'archetto, ma vibrano per “simpatia”. Cioè, ogniqualvolta una delle corde, sollecitate dalla mano o dall'archetto, produce un suono alla stessa frequenza di queste corde, anch'esse vibrano per “amore”. Tutto questo per sottolineare che in noi, all'ascolto delle liriche di Franco Vetrano, scatta un meccanismo, oserei dire a questo punto, un fenomeno fisico, il quale ci lascia una traccia, un graffio nell'animo (facciamo onore alla presenza di Maria Rizzi).
Campo di ostriche, in cui ognuna contiene una perla.
Avete presente i mari della Polinesia, con le pescatrici di perle che si tuffano per riemergere con il loro bottino di ostriche? Da ogni ostrica estraggono una perla.
Questa è la lettura delle liriche di Franco Vetrano. In ogni poesia troviamo una perla.
Si può attingere a piene mani, con la certezza di trovare ogni volta la “perla” desiderata. O quanto meno quella “perla”, di cui in quel momento si ha bisogno. Un esempio... a caso.
ORME
Le orme del mio cammino
all'orizzonte si perdono.
Invano le seguo, ansimando,
tentando di trovare me stesso.
Qui mi siedo, e senza più forza
attendo solo il mio ritorno.
La perla di questo “sospiro” (dico così perché si legge in un solo flato) è il “ritorno”.
Questo “ritorno” è il ripercorrere vie lasciate, vie sognate, vie desiderate, vie di cui sa, sente l'esistenza e da cui viene separato solo dal tempo. Quel tempo che è il grande amico e nemico della nostra esistenza. Ci è nemico, quando diventa abitudine, assuefazione, tollerabilità, rassegnazione, poiché ci fa andare avanti senza che facciamo nulla per cambiare il nostro stato. Ci è amico quando diventa attesa, aspettativa,sogno, desiderio, in quanto ci sospinge verso un orizzonte lontano, animati dalla volontà di raggiungere e realizzare i nostri sogni.
In quella attesa vi è una fortissima cifra di ottimismo, che viene sostenutodialetticamente in modo tetragono, anche contro lo stesso tempo, dal“solo”, che lo precede.
E' granitico, diamantino ed inattaccabile.
Franco Vetrano con l'estrema semplicità, che è solo dei grandi, affronta a piè fermo una qualsivoglia sfaccettatura del vivere. Come ad esempio il tempo. L'immaginario umano si trascina un inconsapevole ed ancestrale timore verso il tempo. Quel timore, cui era soggetto, non dimentichiamolo, lo stesso Giove, il re degni dei, e noi ci trasciniamo quel timore ridimensionato a misura umana.
SCORRE IL TEMPO
Scorre il tempo sui pensieri.
Stende un velo candido di oblio
su ciò che ieri era il futuro.
Scorre il tempo su gioie e tristezze.
Scorre, e passa senza voltarsi.
Come alibi accennavo, il tempo è uno stato d'animo al di fuori della nostra gestione umana.
I pensieri, quelli che si ingenerano indipendentemente dalla nostra volontà, non sono trascinati dal tempo, esso vi sorvola sopra, li sfiora, vi posa cadenzatamene un velo, il quale da trasparente diventa sempre più opaco, a mano a mano che essi veli si stratificano uno sull'altro, al di sopra degli eventi, degli uomini, dei fatti, della storia. Il tempo, con la sua ineluttabilità, non trasforma la vita, che obbedisce alle sue leggi peculiari, ma fa solo in modo che per noi essa realtà o vita cambi il suo status. I fatti sono e saranno sempre gli stessi. Collocati ieri erano per noi il futuro. Peculiarità del tempo, che non rimane nella nostra gestibilità, è che esso non si volta. Ma non è visto in negativo. E' realtà. Una realtà di cui abbiamo il dovere di tenere conto. Anzi, meglio, con dobbiamo fare i conti. Io aggiungo, subordinatamente all'illuminato parere del nostro autore, il non voltarsi del tempo rende la realtà più “affascinante”.
Questo, almeno, nella cultura occidentale. Infatti - come sottolinea Gianni Bonina ne “I sette giorni di Allah “ - in occidente il tempo corre oppure passa e la sente gli va
appresso, conforma la propria vita al suo trascorrere...... In Oriente invece il tempo non si perde né si guadagna perché è come il sole: sta fermo.
Franco Vetrano, producendo delle poesie, contenute, costituite di pochi versi, ha fatto una operazione al limite della “ruffianeria”, nella sua accezione più blanda, dolce ed amorevole del termine, senza minimamente però incappare nella di essa trappola.
Pressato dal suo DNA di tecnico, spoglia le poesie del di più, elimina tutto ciò che non va diritto a nocciolo del tema da trattare. “Sbuccia il frutto” del suo pensiero e ce lo presenta tagliato, ben aggiustato e preparato agli occhi del nostro sentire. Noi non dobbiamo far nulla che non sia quello di abbandonarci alle note (qui Franco direbbe: “Eccolo!”) della melodia, nascente dalla corda che ci ha fatto vibrare nell'animo. Mutuando la metafora musicale, Franco Vetrano, a mezzo della brevità di questi scritti, è come se ci presentasse di una intera opera lirica solo le arie più accattivanti, più melodiose, più pregnanti e, per questo, più identificati ve dell'opera stessa.
Mi corre l'obbligo sottolineare che fa, allo stesso momento, un'operazione rischiosa, aleatoria, pericolosa e, per questo, coraggiosa. Egli, presentando solo “le arie” rischia di non essere compreso fino in fondo. Rischia che l’”animus” dello scritto possa sfuggire all'attenzione del lettore.
In quanto non supportato da una pregressa presentazione, da una adeguata preesposizione di fatti o circostanze, il plot dello scritto può toccare un punto di tangente, schizzare via e non penetrare l'animo del lettore. Ho detto prima: “...può...eccetera, eccetera..”. Ma Franco Vetrano non corre codesta alea.
Egli, oltre al coraggio, ha la forza della sincerità espositiva quando poggia la penna sul foglio.
Ogni verso ha la immanenza di una incisione sul tronco di ulivo, ogni verso porta con sé l'immutabilità di una vena nel marmo. Ogni verso ha il profilo chiaro, netto, definito ed, al tempo stesso, appartenente alla nostra realtà quotidiana: ai respiri del mattino, ai sospiri della sera, ai sogni di bambino, alle aspettative di adolescente, agli odori di cucina, alle nostalgie di un ricordo, ai sorrisi di persone care ed a tanti,...tanti altri momenti, con cui si scandisce la nostra esistenza umana.
Questa silloge è un amico che ci accompagna, come dicevo prima, attimo per attimo, giorno per giorno. Un vero amico.
Napoli, 2-3-2013
Salvatore Castiello